Pelle di Giulia Bersani – prima personale del nuovo ciclo espositivo che il Rifugio Digitale dedica alla fotografia contemporanea Il Corpo che Abito, ideato da Irene Alison e curato da Irene Alison e Paolo Cagnacci – porta al centro dell’obiettivo la dimensione del corpo come confine di rivendicazione dell’identità, criterio di conoscenza del mondo, perno attraverso il quale costruiamo le nostre relazioni, come grido di ribellione. Il corpo è una materia sensibile, una terra fertile, un paesaggio mutevole. Giulia Bersani lo tocca con lo sguardo, senza paura, senza pudore. Vicino, vicinissimo, dentro alle pieghe della pelle, nelle cicatrici, tra i
tra le gambe. Non c’è niente di rassicurante nei suoi corpi ribelli: perché si sottraggono ai canoni, alle aspettative, all’ansia del giudizio e alla dittatura delle definizioni. Perché non sono né lisci né conformi. Perché sono nudi e affamati. Di vita. Di intimità. Di libertà. E se ne fregano del resto. Sono corpi che pulsano, ansimano, piangono. Crocevia di desideri e di passioni, corpi fluidi e fatti di fluidi: sudore, sangue e saliva. Giulia, 32 anni, li racconta mischiandosi a loro, entrando nei letti e negli abbracci, attraverso la fisicità – parola e scelta espressiva non casuale, per un progetto che vive di carne e materia – della fotografia analogica. Il suo lavoro, emerso negli ultimi anni anche grazie al seguito ottenuto su Instagram, ha un’energia cruda e viscerale che non conosce compromessi, né quelli imposti dalla censura del social, né quelli richiesti dall’estetica patinata e senza spigoli che abbiamo ormai interiorizzato.